Sangue e morti in Angola. Il dramma della Cabinda e la tragedia togolese

cabinda scortaLa Cabinda è una regione dell’Angola estremamente ricca di petrolio, abitata da appena 300.000 persone che vivono tutte sotto la soglia di povertà. Da oltre trent’anni i gruppi armati del FLEC – Fronte di Liberazione della Cabinda – si oppongono alle forze di sicurezza angolane chiedendo l’indipendenza per la regione. Si tratta di una regione in guerra dal 1963, prima contro il dominio portoghese e poi contro i Governi angolani di Agostino Nieto e di Eduardo Dos Santos. La popolazione della Cabinda non ha mai accettato di appartenere allo Stato dell’Angola e, a partire dall’indipendenza dell’Angola avvenuta nel 1975, chiede l’istituzione di uno stato proprio e indipendente. Il governo angolano non vuole però rinunciare agli ingenti giacimenti di idrocarburi presenti nell’area, i cui profitti finanziano il conflitto interno. Dal 2004, inoltre, l’Angola è diventato il secondo fornitore di petrolio degli USA, passando da governi filo-marxisti all’appoggio (con tanto di invio di truppe!) alle missioni americane in Iraq e Afghanistan. Ovviamente, è uno dei paesi più poveri al mondo, costantemente agli ultimi posti nelle statistiche che misurando gli indici di sviluppo umano nei diversi Paesi. Più della metà degli 1,4 milioni di barili di petrolio estratti quotidianamente in Angola provengono dalla regione di Cabinda. Di fronte alle richieste separatiste, è perciò intuibile come il Governo abbia ripetutamente risposto con violente repressioni, commettendo innumerevoli crimini sulla popolazione al fine di continuare ad assicurarsi i proventi dello lo sfruttamento del petrolio. Da oltre trent’anni gruppi armati FLEC si oppongono alle forze di sicurezza angolane che rispondono con violente rappresaglie, arresti arbitrari, torture, stupri e atti di terrore contro la popolazione civile. Se Cabinda dovesse ottenere l’indipendenza le riserve petrolifere la renderebbero una delle nazioni tra le più ricche dell’Africa. Per questo ogni forma di resistenza nell’enclave di Cabinda viene soppressa brutalmente. La popolazione civile della piccola regione di Cabinda è stretta nella morsa della guerra tra l’esercito e il movimento di liberazione, tanto che nell’ottobre del 2006 è stato chiesto un intervento urgente della Commissione per i diritti umani dell’Unione Africana. La richiesta è, ad oggi, ancora sul tavolo in attesa di essere presa in considerazione.

Non c’è da meravigliarsi perciò se il 6 gennaio, in un messaggio video, il leader del movimento di lotta per l’indipendenza annunci di fatto la sparatoria al pullman di Adebayor & compagni con queste dichiarazioni: ““Il FLEC non è responsabile degli atti che rientrano nella lotta di liberazione durante la Coppa d’Africa. (…), la nostra lotta non si fermerà con la Coppa d’Africa. (…) I responsabili politici africani sono ormai avvertiti, per cui non sorprendetevi del clima di guerra che regna in Cabinda”. Che possa perciò destare scandalo e impressione a noi italiani, così lontani da questi conflitti interni e anche piuttosto ignoranti in materia di politica estera, ci può stare. Noi siamo ancora qui a parlare di regime fascista da una parte e di dittatura comunista dall’altra, mente altrove certe cose le provano davvero sulla loro pelle, e non sono spot elettorali. Oggi molti di noi hanno imparato cosa sia la Cabinda, hanno imparato che c’è una strage in corso di cui nessuno parla, hanno imparato che, mentre noi tra uno spumante e un panettone brindavamo all’anno nuovo, qualcuno pensava ad un gesto estremo, disperato, fregandosene del calcio, della FIFA, della CAF e della Coppa d’Africa.

L’estrazione petrolifera ha causato alla regione di Cabina una serie di impatti ambientali, sociali, economici e politici devastanti. Tanta ricchezza ha portato alla popolazione locale solo soprusi, violenza e miseria:  l’organizzazione Global Witness indaga da anni sulle condizioni dell’estrazione petrolifera in Angola e continua a chiedere al governo maggiore trasparenza nel settore dell’economia petrolifera. Lontano dagli occhi dell’opinione pubblica mondiale, l’esercito angolano commette crimini gravissimi contro la popolazione civile con lo scopo di assicurarsi lo sfruttamento del petrolio; secondo un rapporto redatto e pubblicato dall’organizzazione Human Rights Watch, i 300.000 abitanti della Cabinda sono vittima di una serie inarrestabile di stupri, arresti arbitrari, fucilazioni e torture. Gli abusi più frequenti sono costituiti dalle detenzioni arbitrarie: persone arrestate e trattenute in alcuni casi per settimane o mesi, con l’accusa di essere guerriglieri o collaborazionisti del FLEC – Fronte di Liberazione della Cabinda. Frequenti sono anche le esecuzioni sommarie. Accanto alle forze armate governative sono presenti società militari straniere che forniscono personale di sicurezza a pagamento per la protezione degli impianti petroliferi. Tra esse AirScan, MPRI e Executive Outcomes; a livello ambientale, l’estrazione petrolifera ha causato l’inquinamento dei terreni e dei corsi d’acqua, soprattutto a causa delle perforazioni su terra ed off-shore. E’ stata registrata la presenza di frequenti disturbi fisici nelle comunità residenti nelle zone interessate all’estrazione; a causa delle violenza e dell’inquinamento le coltivazioni di sussistenza sono state in gran parte abbandonate e la popolazione non riesce a procurarsi le risorse per sopravvivere; il costo della vita nella regione è notevolmente più alto che nel resto del paese in conseguenza del giro d’affari delle compagnie petrolifere nella zona.

Certo, lo sapevano bene alla CAF (e anche in Togo). Mandare qui

Cabinda

una squadra di calcio in ritiro era rischioso, figuriamoci se in pullman e senza scorta. E francamente fa rabbia sentire certi commenti del comitato organizzatore che, modello scaricabarile, attribuiscono ogni colpa dell’accaduto alla Federazione del Togo, rea di aver mandato la propria rappresentativa in Angola in pullman e non in aereo (se solo avessero avuto i soldi….).  Ma questo non è più “calcio”. Dopo che in serata sono saliti a tre i morti ufficiali (bilancio purtroppo ancora provvisorio), e dopo che il governo del Togo si è visto costretto a far atterrare a Luanda un aereo militare per far tornare la squadra in patria, giunge pure la beffa: come testimoniato da ESPN, il Togo potrebbe essere sospeso dalle competizioni internazionali a tempo indeterminato e rischiare 50.000 $ di multa (li avessero…) se dovesse ritirarsi. Il suo posto sarebbe dovuto essere preso dal Marocco (ma non c’è tempo). The show must go on. E allora nella notte c’è stata una lunga riunione tra gli organizzatori angoliani e il team togolese, nella quale si è riusciti a convincere Adebayor & co. a restare: “Abbiamo deciso nella notte di giocare, all’unanimità. Non siamo codardi”. Ma questo non è più “calcio”, dicevamo. La questione è diventata “politica” al 100%, col governo del Togo che non intende darla vinta e anzi prosegue nell’intenzione di ritirare la squadra e boicottare la Competizione dichiarando tre giorni di lutto nazionale.

Nel frattempo i separatisti dell’enclave angolana di Cabinda, autori dell’attacco alla nazionale di calcio del Togo, hanno detto oggi che «le armi continueranno a parlare» a Cabinda. Le dichiarazioni sono state fatte al telefono da Rodrigues Mingas, responsabile del gruppo separatista che ha rivendicato l’attacco contro la delegazione del Togo alla Coppa d’Africa. L’agguato di due giorni fa nel quale sono morte tre persone (l’autista del pullman e due membri non giocatori della squadra), è stato rivendicato dal Fronte armato di Liberazione nazionale (Flec) che vuole l’indipendenza di quell’enclave angolana ricca di petrolio. Oggi, contrariamente alla volontà fin qui espressa da alcuni giocatori, il governo del Togo ha fatto sapere di voler richiamare in patria la squadra ritirandola di fatto dal torneo. Mingas, parlando al telefono da Parigi dove vive in esilio, ha spiegato: «Siamo in guerra e tutti i colpi sono consentiti». Mingas, che è segretario generale delle Forze di liberazione dello stato di Cabinda-Posizione militare, ha rimproverato al presidente della Confederazione africana del calcio, Isaa Hayatou, di aver deciso di mantenere sette partite di Coppa d’Africa nell’enclave separatista. «Questo continuerà perché il paese è in guerra, e perché il signor Hayatou si è intestardito», ha concluso.

Il presidente della Fifa, Joseph Blatter, ha espresso la sua «fiducia nell’Africa», a cinque mesi dai Mondiali in Sudafrica, in una lettera aperta ad Issa Hayatou, presidente della Confederazione di calcio africana (Caf), dopo l’attacco al pullman che portava la Nazionale del Togo in Angola per la Coppa d’Africa. Il testo della lettera di Blatter è stato diffuso dalla Fifa sul proprio sito. «Ho fiducia nell’Africa – fa sapere Blatter – e forti di questo organizzeremo insieme la competizione di punta del calcio mondiale nel 2010. Questa situazione terribile non può far dimenticare che il calcio africano ha scritto bellissime pagine della storia del calcio mondiale: l’Africa è la culla di gioielli puri del calcio». Poi Blatter assicura ad Hayatou il suo «massimo appoggio nel momento in cui una delle Federazioni che fanno parte della FIFA e della CAF è vittime di eventi tragici. La FIFA e io personalmente abbiamo un pensiero particolarmente commosso per le vittime e ci associamo totalmente al dolore delle loro famiglie e dei loro cari».

Parole da “politico”, appunto. Auguri a tutti i partecipanti per il resto del torneo e per i prossimi Mondiali di Sud Africa 2010.

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    • kaedes
    • 10 gennaio 2010

    stai fornendo davvero un gran servizio in questo modo. grazie.

    • Garrison
    • 10 gennaio 2010

    Leggendo articoli come questo mi vergogno della mia ignoranza, non sapevo nulla di questa vicenda. La situazione drammatica non giustifica il terrorismo comunque, specie contro innocenti, come i nazionali del Togo. Complimenti anche a chi scelto l'Angola come sede del torneo. Resta inspiegabile come un continente come l'Africa così ricco dal punto di vista naturale, non riesca a fare un salto di qualità anche culturale e politico.

  1. Ovviamente nulla può giustificare la sparatoria. Ma, sapendo la situazione della Cabinda, era proprio il caso di organizzarci delle partite di pallone lì? In mezzo alla guerra?

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