LA PARTITA:
Diego Ribas da Cunha possiede una dote rarissima, che è patrimonio solo dei fuoriclasse, dote per cui anche la giocata più difficile, il colpo più astruso, la carezza più soffice assestata al pallone, risulta all’occhio del profano una cosa semplice, quasi banale. Ieri questo brasiliano barbuto ed evoluto, modernissimo nel modo di interpetare il calcio del terzo millennio, si è caricato sulle spalle la Juventus in una Roma da forno a microonde e l’ha accompagnata alla seconda vittoria consecutiva in campionato (3-1) con due gol favolosi, di potenza e di fino, resistendo alla pressione di un marcantonio come Riise e gabbando un mestierante come Mexes; con il contributo che ha offerto al gruppo sfiancandosi nelle coperture, al punto da rimediare pure un’ammonizione; con gli assist che ha servito ai compagni, là dove per un pezzo non ha funzionato altro tranne che lui, nonostante fosse l’uomo di De Rossi, non proprio un pirla qualsiasi. Segno della Croce, amen. Diego è il valore aggiunto che qualsiasi squadra con ambizioni di vertice (interne e internazionali) vorrebbe, anzi deve avere. Nello specifico della formazione bianconera, impersonifica la risposta diretta a Wesley Sneijder, a Samuel Eto’o, a Diego Milito, insomma all’Inter. Morale: è costato 25 petecchioni ma nessuno li rimpiange, forse l’unico rammarico è non averci creduto prima, tipo l’anno scorso. Pensare che qualcuno avanzava persino delle perplessità mette la pelle d’oca. Benvenuti sulla luna, bentornati ad applaudire un fenomeno che da anni, dall’addio di Zinedine Zidane, non indossava più la maglia bianconera, bene tutto e magari qualcosa di più. Diego, già. Nella spettacolarizzazione mirata della Juventus, è la pietra d’angolo sulla quale si intende costruire una stagione straordinaria, da scudetto, però non di solo Diego è fatta la squadra di Ciro Ferrara. Comincia ad affiorare un gioco, comincia a essere digerito il rombo, là dove Felipe Melo ha solo necessità di accelerare le operazioni di scarico del pallone. L’altro brasiliano bianconero ha realizzato una rete bellissima, con un inserimento di trenta metri, ed è stato eccellente nella fase di interdizione, però troppo spesso si è innamorato di se stesso e delle sue capacità di palleggio, tanto da innescare il pari giallorosso, nato da una punizione sulla trequarti, da una colpevole ingenuità collettiva (è mai possibile lasciare a Pizarro la libertà di battuta e a De Rossi quella di esecuzione?) e da una leggera indecisione di Buffon. Ma è in crescita, come sta lievitando Amauri (un palo e due capocciate salvate dal portiere), come sono sintonici Cannavaro e Chiellini, i centrali difensivi. Il pelo nell’uovo continuano a essere gli esterni, il cui contributo è minimo, sia con Grygera sia con De Ceglie. Crediamo che con Grosso il livello salirebbe di brutto: cosa possono rappresentare cinquecentomila euro in più o in meno rispetto alla portata totale della sfida? All’Olimpico mancavano ancora Zebina e Sissoko, Camoranesi è entrato nella seconda parte della ripresa, Del Piero e Trezeguet sono rimasti in panchina, oppressi da una calura africana e da chissà quali cattivi pensieri. Quando tutti risponderanno all’appello, chissà. Di sicuro, scorrendo la classifica e asciugando le sensazioni maturate sul campo, la Juventus non è lì per caso e non è destinata ad afflosciarsi strada facendo. Possiede il codice genetico delle formazioni vincenti, morbide fuori e dure dentro, sa colpire e soffrire, non cala più le braghe come un tempo, reagisce e ricastiga. All’Olimpico è andata così. Ferrara ha raccontato che questa squadra sarebbe piaciuta a Giovanni Agnelli, per induzione crediamo che non sia dispiaciuta neppure a John Elkann, il nipote, teorizzatore dello show applicato ai risultati. Se l’impatto dell’Inter con il derby è stato devastante, l’incursione della Juventus nella capitale ha avuto connotazioni di portata analoga, anche se i bianconeri si sono trovati di fronte una Roma minima, la medesima dell’anno scorso con un Burdisso in più (non male l’ex nerazzurro) e qualche certezza in meno. In porta c’era Julio Sergio, che è il vice del vice, ma se l’è cavata benissimo, con almeno tre parate decisive, a steccare semmai sono stati altri, da Totti (un palo e stop) in giù, fino al pallido Menez, al tremebondo Perrotta, al ruvido Cassetti, dalla cui indecisione è nata la prima rete di Diego. Ultima e con zero punti (e 6 gol nelle prime due partite: non era mai successo nella storia giallorossa), la formazione di Spalletti dà l’idea di essere in piena depressione e probabilmente non sarà sufficiente l’arrivo di un rinforzo – Quaresma, dicono – per invertire un trend. Il confronto con la Juventus ha aperto un dibattito che per la verità tiene banco dall’estate, però il 3- 1 secco e netto, addirittura violento, è peggio che un cazzotto nello stomaco. E quel Diego lunare una sorta di umiliazione errante.
IL TABELLINO:
ROMA (4-2-3-1): Bertagnoli, Cassetti, Mexes, Burdisso, Riise (25’st Vucinic), Perrotta (36’st Cerci) De Rossi, Pizarro, Taddei (1’st Tonetto), Menez, Totti. A disposizione: Artur, Juan, Motta, Guberti, Tonetto, Cerci, Vucinic. All.: Spalletti.
JUVENTUS (4-3-1-2): Buffon, Grygera, Cannavaro, Chiellini, De Ceglie (30’st Legrottaglie), Tiago, Melo, Marchisio (17’st Camoranesi), Diego, Amauri, Iaquinta. A dispozione: Manninger, Camoranesi, Legrottaglie, Molinaro, Poulsen, Trezeguet, Del Piero. All.: Ferrara.
Arbitro: Rocchi
Ammoniti: 16′pt Tiago, 19′pt De Rossi, 33′pt Taddei, 36′pt Diego, 36′pt Perrotta, 43′pt Marchisio, 35’st Grygera
Marcatori: 24′pt Diego, 34′ De Rossi, 22’st Diego, 47’st Melo
INTERVISTE POST-PARTITA:
FERRARA: «Queste qualità le aveva dimostrate già con il Milan e il Chievo, tecnicamente fortissimo ma non solo tecnicamente, anche fisicamente e tatticamente quando chiude e corre in fase difensiva. Abbiamo bisogno che tutti collaborino e Diego lo ha fatto benissimo. Del Piero? Quando un giocatore resta fuori non si può essere felici. Capisco Alessandro ma il suo umore non poteva essere alle stelle, così come per altri giocatori. Oggi ho fatto questa scelta e devo proseguire con il cervello non con il cuore a fare le scelte. Sul 2-1 facevamo poco possesso palla e la Roma ripartiva. Qualche difficoltà c’è stata anche se il primo tempo siamo stati perfetti, a parte il gol subito. Recuperavamo sempre palla e siamo stati incisivi in fase offensiva poi alla fine abbiamo avvertito un po’ di fatica, ma nel complesso abbiamo visto una Juve da squadra vera e ha meritato la vittoria. Non soffrire in casa della Roma non è così semplice. Camoranesi l’ho messo dentro perché ha tante qualità, sa tenere palla, fa salire la squadra e può fare il colpo vincente. Non aveva tanti minuti nelle gambe perché veniva da un infortunio alla caviglia, ma è chiaro che avendo a disposizione tanti giocatori li devo motivare tutti. Tiago? Gioca lui perché sa proporre meglio la manovra rispetto a Poulsen che è un giocatore che esprime il meglio di sè davanti alla difesa. Lo Scudetto? Io vorrei che finisse ora il campionato. Sei punti sono ancora pochi, sei punti non contano, conta solo la vittoria che fa morale e ci convice che abbiamo giocatori e una squadra forte. È talmente lunga la strada che le insidie e i pericoli sono dietro l’angolo. Tra l’altro tra 15 giorni ancora a Roma contro la Lazio. Abbiamo visto nel derby come umore può cambiare da una settimana all’altra. I nerazzurri hanno dimostrato di essere una grande squadra. Mi ha impressionato eccome. Penso che anche noi, però, con questa vittoria contro la Roma e con questa prestazione li abbiamo impressionati. Ma non dobbiamo dare risposte a nessuno, solo a noi stessi. Stasera hanno visto tutti un’ottima Juventus, con uno spirito che sarebbe piaciuto all’avvocato Agnelli».».
MARCHISIO: «Mi sono fatto male nel primo tempo, ho stretto i denti, ma nel secondo tempo non riuscivo neanche a tenere la scarpa e quando mi sono reso conto di non poter dare una mano alla squadra ho chiesto il cambio. Domani effettuerò una lastra e un’ecografia, perché a causa del dolore non riuscivo a correre bene e ho avvertito un fastidio alla coscia, ma spero comunque di poter andare in Nazionale. Sono contento per il risultato, ma anche per come abbiamo giocato. Con Diego l’intesa cresce, così come con Tiago o Camoranesi. Siamo sulla buona strada. Ferrara negli spogliatoi ci ha fatto i complimenti, ma ci ha anche detto di stare più attenti, portando ad esempio il gol preso».
DIEGO: «Il nostro obiettivo era quello di vincere oggi. Era un nostro obiettivo. Pensavo fosse difficile, così è stato, ma sapevo anche che giocando con questa qualità si poteva vincere e lo abbiamo fatto. È stato per merito della qualità messa in campo che siamo riusciti nell’impresa di portare a casa questi tre punti su un campo difficile. Come ho fatto ad ambientarmi da subito? È merito dell’ambiente bianconero, di Ciro Ferrara, dei tifosi e quindi mi sono inserito con facilità da subito. La grande qualità collettiva della Juve sta nella capacità di adattarsi al nuovo modulo».
(Credits: Juvemania.it, Tuttosport.com)
Analisi tattica di Juventus-Bayern Monaco (sempre i soliti problemi…)
Grattacapi infiniti
Ieri si è perso male. Molto male. Vediamo di capirne i principali motivi analizzando tatticamente gli errori commessi e cercando di capire come fare per venire fuori da questi che sono degli equivoci tattici che ci trasciniamo dietro da tempo, e che non riusciamo a superare. Iniziamo dai due schieramenti tattici. Continua a leggere →
Analisi tattica
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